Nei giorni 17, 18 e 19 novembre Bologna diventerà sede dell’evento internazionale dedicato all’empowerment e all’imprenditoria femminile organizzato da WomenX Impact, di cui è main sponsor Eni.
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Tre giorni in cui conoscere storie e strategie raccontate dalle più grandi donne leader italiane ed internazionali. È WomenX Impact, un evento internazionale che si terrà dal 17 al 19 novembre a Bologna, giunto alla seconda edizione. Qui si alterneranno testimonianze e tavoli di discussione che indurranno a riflettere, a contaminarsi positivamente e a trovare contenuti unici, trasmessi e realizzati da donne uniche.
Eni è Main partner dell’iniziativa, in quanto azienda impegnata da tempo nella creazione di percorsi professionali per la crescita, l’integrazione e l’empowerment femminile. Inoltre Joule, la Scuola di Eni per l’Impresa, supporterà la startup competition di WomenX Impact ideata per sostenere startup fondate da donne o nel cui board sia presente almeno una donna. Il premio, assegnato da Eni alla startup vincitrice, darà accesso alla Community di Joule, un ecosistema di startup, esperti di settore, docenti e partner di innovazione che consentirà di acquisire competenze e sperimentare metodologie innovative per startup sostenibili.
La mission di Joule è infatti quella di supportare la crescita di imprese sostenibili attraverso la formazione di un mindset imprenditoriale e l’accelerazione di startup innovative operanti nell’ambito della transizione energetica.
ASSORBENTI CON FIBRA DI BANANA
Rebecca Cenzato, giovane laureata in ingegneria gestionale al Politecnico di Milano e co-founder di MUSA, progetto imprenditoriale ad impatto sociale che ha partecipato ad uno dei programmi di Joule e che propone assorbenti igienici prodotti dalla fibra di banana per le donne africane: “Da precedenti esperienze di vita personale, conoscevamo la problematica della povertà mestruale e quindi abbiamo deciso di focalizzaci su questo aspetto della povertà”, spiega ad AMMPE.
“Spesso la povertà viene associata alla fame, all’assenza dei servizi sanitari, all’acqua pulita ecc., però esiste anche questo aspetto che riguarda le donne che non possono, durante il periodo mestruale, essere libere di uscire di casa, andare a scuola o andare a lavorare. Siamo partiti dalle risorse disponibili, non utilizzate, quindi a basso costo, che attualmente vengono gettate e non sfruttate”, aggiunge.
Chi lavora nella startup MUSA, quindi, ha scoperto che le piante di banano vengono periodicamente tagliate al piede nelle coltivazioni e una volta raccolti i frutti, tutto questo materiale e lo stelo della pianta, viene lasciato marcire nei campi o bruciato, insomma non se ne fa nulla: “In realtà”, continua, “abbiamo scoperto che dagli steli delle piante di banano si può estrarre una fibra con cui poi si possono fare diverse cose”.
In questo momento il progetto è focalizzato in Ruanda, aggiunge Cenzato, “però avevamo studiato la fascia Subsahariana dove vengono prodotte maggiormente le banane, quindi anche Uganda, Tanzania, Zimbabwe”. La scelta del Ruanda si deve ai contatti pregressi, ma “potenzialmente il nostro modello è applicabile, con le dovute modifiche date dal luogo, in qualsiasi posto in cui si hanno disponibili grandi quantità di fibra di banana”.
“Il sud est asiatico, il sud America sono dei luoghi assolutamente appetibili. Quello che noi implementiamo è un modello di business sostenibile e scalabile, con un ritorno positivo sia a livello economico, che sociale ed ambientale. MUSA è un progetto low-tech ad alto valore sociale”, sottolinea.
Per questo progetto, “il contributo di Joule è stato importante per innescare una serie di processi di sviluppo e per iniziare a lavorare a MUSA con una prospettiva più integrata e a fuoco. Inoltre, ci ha messo in contatto con un network esteso, il cui grande valore continua a essere tangibile anche oggi dopo due anni che è partita questa esperienza”, conclude la giovane CEO di MUSA.
PROGETTO BI-REX
Due giovani ricercatrici, Greta Colombo Dugoni e Monica Ferro, partendo da alcuni scarti della filiera agroalimentare, grazie ad un processo innovativo, brevettato, green riescono a ottenere materiali che possono essere impiegati nuovamente in diversi settori dell’industria.
Si tratta di scarti non difficili da reperire, come la buccia delle arance che proviene dalla loro spremitura, le trebbie della birra provenienti dalla lavorazione di quest’ultima, gli scarti del riso, i carapaci dei gamberi o dei crostacei di ogni genere: “li estraiamo con il nostro processo e poi otteniamo delle materie prime, come cellulosa e chitina, che possono essere utilizzate per diverse applicazioni industriali”, spiega Monica Ferro, intervistata da AMMPE.
Tra queste applicazioni, aggiunge come esempio la cellulosa, “per fare un certo tipo di carta utilizzabile per diverse applicazioni, quindi dalla carta usa e getta, che è una carta casalinga e che viene usata da tutti come ad esempio: tovaglioli, fazzoletti, carta igienica, carta da cucina, a settori più di nicchia come: bioplastiche, agrofarmaci per l’agricoltura biologica, sostanze per il trattamento delle acque, insomma diversi settori applicativi”.
L’idea parte dalla consapevolezza che “le persone fanno i progetti”, dichiara Greta Colombo Dugoni, “poiché nasce dall’unione di me e di Monica: lavoravamo a due progetti diversi, ma abbiamo deciso di unirli e provare a lavorare insieme. Inizialmente volevamo solo provare a sciogliere la cellulosa, su cui lavorava Monica, utilizzando dei solventi, che usavo io per il mio lavoro. Ci siamo accorte che non scioglievamo la cellulosa ma riuscivamo a ottenerla in modo diverso. Quindi, il modo migliore per ottenere il nostro processo è senza dubbio l’unione di noi due”.
Le due ricercatrici hanno conosciuto Joule a seguito della vincita della competition StartcupLombardia 2020. A partire da quel momento, spiegano, “Joule ci ha assistito su temi fondamentali per la nostra crescita come il lato regolatorio (capire se è possibile lavorare un rifiuto e renderlo nuova materia prima) e sul lato comunicazione. Inoltre, ci hanno inserito all’interno della loro community, permettendoci di fare network con diverse startup e aziende, e partecipare a competition con grant a fondo perduto”.
E, ultima cosa ma fondamentale, “il supporto costante del team Joule nelle tematiche di tutti i giorni ci ha aiutato a portare avanti il progetto anche nei momenti più difficili”, dichiarano.
GLADYS KALEMA-ZIKUSOK, VETERINARIA DELL’UGANDA
“Ho sempre amato gli animali, fin da quando ero una ragazzina”, scrive Gladys Kalema-Zikusok rispondendo alle domande di AMMPE: “avevamo molti animali domestici in casa e la mia passione per gli animali mi ha ispirata a ripristinare un club per la fauna selvatica nella mia scuola superiore, in Uganda. Sapevo che volevo lavorare con gli animali e aiutarli quando erano malati o avevano bisogno di cure”.
Per questo Gladys ha studiato Medicina Veterinaria al Royal Veterinary College di Londra e, al ritorno al suo paese natale, è stata nominata ufficiale veterinario per l’Uganda Wildlife Authority: è stata la prima donna in Uganda a ricoprire quella posizione.
Come parte della sua ricerca veterinaria, ha identificato la trasmissione dei parassiti dagli esseri umani ai gorilla di montagna come un fattore di rischio significativo per questi animali. Insieme a un gruppo di colleghi ha fondato Conservation Through Public Health (CTPH), un’organizzazione senza scopo di lucro con sede in Uganda e negli Stati Uniti per migliorare la salute umana ed ecologica in Africa.
Ma Gladys Kalema-Zikusok è andata oltre e ha creato Gorilla Conservation Coffee, un’impresa sociale di CTPH (fondata nel 2015), quando ha visto le condizioni degli agricoltori che vivevano adiacenti al Parco nazionale impenetrabile di Bwindi: “Ho appreso che non veniva loro offerto un prezzo equo per il loro caffè e stavano lottando duramente per sopravvivere, costretti a usare la foresta per soddisfare i loro bisogni familiari di base per cibo e legna da ardere” afferma.
“L’impresa sociale paga ai coltivatori di caffè un premio di 0,50 dollari al chilo in più rispetto al prezzo di mercato. Non solo Gorilla Conservation Coffee fornisce un mercato per il caffè, ma sostiene ulteriormente gli agricoltori attraverso la formazione per una coltivazione e una lavorazione sostenibili del caffè. Questo aiuta a migliorare la qualità del caffè e ad aumentare la resa di produzione, assicurando che i vantaggi dell’accesso a un mercato globale siano realizzati dai piccoli coltivatori di caffè intorno a Bwindi”.
Kalema ha potuto confrontarsi con altre esperienze simili ed è entrata in contatto con Joule grazie a Startup Africa Roadtrip, di cui Eni è partner, e che tra l’8 e il 13 maggio di quest’anno ha permesso che le sei 6 migliori startup africane delle edizioni 2019 e 2021 del bootcamp potessero conoscere meglio l’ecosistema delle startup e dell’innovazione italiane.
In questo momento Gladys sta scrivendo un libro che sarà pubblicato il prossimo febbraio. Il suo grande desiderio è che “questo libro ispiri più donne e ragazze – e altri – a seguire la loro passione, rompere i confini sociali, e ispiri anche la leadership africana nella conservazione e nello sviluppo sostenibile”.