di Alba Kepi
Sono 550 attualmente i giornalisti e le giornaliste in carcere in tutto il mondo, di cui 104 sono morti con la scritta
“Press” al petto – questi sono i dati pubblicati nell’ultimo rapporto annuale di Reporter Senza Frontiere RFS.
“I giornalisti non muoiono, vengono uccisi; non sono in prigione, i regimi ce li hanno gettati; non sono scomparsi, sono stati rimossi. Questi crimini, spesso orchestrati da governi o gruppi armati, violano il diritto internazionale e troppo spesso rimangono impuniti. Dobbiamo spostare le righe, ricordare, noi cittadini, che è per noi, per informarci, che i giornalisti muoiono. Continuiamo a contare, a nominare, a denunciare, a indagare, affinché venga fatta giustizia. Il destino non deve mai trionfare. Tutelare chi ci informa significa tutelare la verità”, ha dichiarato Thibaut Bruttin, direttore generale di Rsf.
In Ucraina, Palestina, Gaza, Birmania, Africa, Medio Oriente e in tutto il mondo, i luoghi dei giornalisti uccisi durante il 2024, in percentuale il 57% in più rispetto agli ultimi cinque anni. Più della metà di loro si trovava a Gaza. È un vero e proprio bilancio di guerra con centinaia di prigionieri e vittime. La loro colpa, raccontare i fatti, diffondere e difendere la verità, lavorare.
Altri 55 giornalisti sono ancora in ostaggio nei Paesi dove il regime odia la verità. Secondo i dati forniti da RSF, il 70% di loro si trovano in Siria e gli altri in Yemen, Mali etc. e non solo, gli altri 95 giornalisti risultano scomparsi negli ultimi 10 anni.
Il maggior numero di loro lavorava in Messico e nel 2024 altri quattro sono scomparsi in Burkina Faso, Nicaragua, Russia e Siria.
Il rapporto di RFS è la testimonianza che l’essenza della democrazia è in forte crisi e i governi dimostrano di essere incapaci a proteggere i pilastri universali della democrazia: la libertà e diritti umani, civili e del lavoro.
Il numero più alto di giornalisti uccisi si trova a Gaza ed è stato definito da RSF “un bagno di sangue senza precedenti”.
Il maggior numero di giornalisti prigionieri si trova nelle quattro carceri più grandi del mondo: Cina con 124 giornalisti detenuti, 11 di loro a Hong Kong, in Birmania 61, in Israele 4 e in Bielorussia con 40 giornalisti detenuti.
In dieci anni, Press Emblem Campaign (PEC), l’organismo mondiale per la sicurezza e i diritti dei media, ha contato 1159 operatori rimasti vittime mentre svolgevano il loro lavoro, una media di 2,25 a settimana.
“Condanniamo tutti questi crimini, commessi in violazione del diritto internazionale e delle legislazioni nazionali. Indagini indipendenti sono essenziali per chiarire le circostanze e perseguire i responsabili, al fine di combattere l’impunità. Questo pesantissimo bilancio di vittime, il più grave dall’inizio del secolo, rafforza la necessità di uno strumento internazionale che chiarisca le condizioni per la protezione della professione giornalistica nelle zone di conflitto”
ha dichiarato Blaise Lempen, presidente di PEC.
Il 2025 è iniziato nella stessa scia di sangue. In pochi giorni, altri 6 giornalisti sono morti secondo i dati quotidiani di Reporter Senza Frontiere e la Palestina rimane la Regione più pericolosa per questo lavoro. Secondo il sindacato palestinese dei giornalisti, sono oltre 200 operatori dell’informazione uccisi dal 7 ottobre a oggi, e sono giornalisti, fotografi, video- maker.
“Anche questi giubbini Press che indossiamo sono diventati un bersaglio. Ma il giornalismo non è un crimine. State dalla nostra parte” è l’appello del giornalista palestinese Abubaker Abed, chiedendo un sostegno internazionale per i suoi colleghi uccisi nel conflitto a Gaza.
State dalla nostra parte, dalla parte del giornalismo per diffondere la verità e proteggere la democrazia, la libertà e il diritto all’informazione per tutti.