Relazione di Patricia Mayorga, Presidente Ammpe Italia al V Convegno Internazionale “Voci di Donne”

(Catania 8,9,10 marzo 2023)


Innanzitutto ringrazio le organizzatrici di questo interessante incontro che come il suo nome dà voce a donne di diversi paesi e su diversi argomenti.  Il mio tema riguarda il sessismo sui media, un problema talmente, possiamo dire “comune”, che per la grande maggioranza di chi legge o ascolta il più delle volte non viene percepito con l’attenzione (e la critica) che meriterebbe.

Io non sono una esperta di questo tema in senso accademico. Sono soltanto una giornalista che segue i problemi inerenti alla disparità di genere da moltissimi anni, già da quando sono arrivata in Italia nel lontano 1975, periodo nel quale ho conosciuto il femminismo e ho cominciato a partecipare ai collettivi.

Nella mia relazione darò uno sguardo a ciò che succede in Italia, con cenni alla Spagna e all’America Latina.

In realtà la narrazione che fanno i media sul mondo delle donne non fa altro che riflettere gli stereotipi di sempre. E anche se qualcosa sta cambiando, ancora si avverte una disparità enorme. Se la società fosse quella presentata dai media occidentali, la popolazione mondiale sarebbe formata per l’83% da uomini bianchi di mezza età.  Perciò questa narrazione fa sì che le donne ricoprano in numero minore posizioni di leadership nel mondo del lavoro e siano numericamente inferiori in alcuni ambiti, come ad esempio nella politica.

Le donne che invece arrivano a ricoprire posizioni di potere vengono quasi sempre descritte e giudicate per il loro aspetto fisico, per come appaiono o per come si vestono, al contrario degli uomini che occupano medesime posizioni, loro sì valutati per la loro capacità.  Anche il ritratto dei maschi secondo i media segue questi stessi parametri: sempre descritti come attivi, avventurosi, coraggiosi, forti, competenti, arrabbiati, alti e palestrati, ritratti all’aperto, nel mondo.  Le donne, invece, vengono dipinte come passive, prudenti, silenziose, comprensive oppure isteriche, belle oppure brutte, magre oppure grasse. Poi: madri o non madri, cosa che non succede con i maschi. 

IL CORPO FEMMINILE

La scorretta rappresentazione del corpo anche se riguarda ancora in prevalenza le donne inizia a riguardare anche i ragazzi più giovani: sono i corpi femminili, infatti, a essere costantemente giudicati. Secondo alcuni studi condotti da Swedish Women Lobby, la maggior parte delle donne si avverte meno soddisfatta di sé stessa dopo aver letto riviste di moda. Tutto ciò è infatti ancora più evidente proprio in questo settore dove le modelle sono in gran parte taglia zero e la magrezza, anche estrema, viene elevata a ideale di bellezza a cui aspirare, soprattutto tra le giovanissime.

Anche il consolidamento degli stereotipi di genere rientra tra i casi di sessismo: una discriminazione più sottile rispetto al sessismo esplicito, ma altrettanto dannosa e addirittura più pericolosa perché subdola, e quindi più difficile da riconoscere. Gli stereotipi di genere sono evidenti già dall’infanzia: basti pensare ai giocattoli per bambine, prevalentemente bambole, aspirapolveri e oggetti casalinghi, che sembrano voler mostrare quali siano le attività più consone al genere femminile, mentre i trucchi insegnano alle future donne che il valore più grande in loro possesso è la bellezza. Diversa è la situazione per i bambini, a cui sono invece destinati puzzle, costruzioni e camion, quindi li si lascia liberi di esplorare il mondo e di allenare la loro intelligenza.

Qui permettetemi un racconto del mio vissuto: quando mio figlio, che oggi ha 38, anni era piccolo, 4/5 anni una amica ci ha regalato i giocatoli di sua figlia ormai cresciuta. Tra questi c’erano 4 Barbie, la mitica bambola statunitense che pensate, proprio oggi compierebbe 64 anni in quanto è nata al mercato il 9 marzo 1969. Bene, mio figlio giocava con queste bambole facendo lo stesso che suo padre faceva con lui: le portava all’asilo, le cucinava, le faceva mangiare, le metteva al letto, le raccontava favole, ecc. Poi ha chiesto a Natale una bambola che dicesse: Papà. Non abbiamo trovato nessuna in tutta Italia! Son passati quasi 40 anni. Spero che adesso si trovino.

Una “donna morta” invece che assassinata, parlare di “violenza domestica” invece che sessista o togliere il cognome dei protagonisti sono solo alcuni degli esempi di come i media perpetuano il sessismo nelle loro notizie, un problema che ancora si avverte, e in modo più evidente nelle notizie della TV.

Sessismo che arriva agli estremi nella narrazione della violenza contro le donne, dove in molti casi si tende a colpevolizzare le vittime (“se l’è cercata”), mentre i colpevoli, i maschi, vengono quasi giustificati (“era una brava persona”, “un padre modello”, “l’ha uccisa per troppo amore”, “sempre educato, salutava”). Si tratta di una doppia violenza, perpetrata nei confronti della vittima reale, che non viene rispettata neppure nell’informazione, oltre che di una scorretta e pericolosa rappresentazione della realtà che porta a giustificare questi comportamenti.

“Una donna muore dopo essere stata accoltellata sette volte dal suo ex”: con questo chiaro esempio di uso improprio del linguaggio nei media, il gruppo di giornaliste hispanoparlanti Comunicadoras 8M ha voluto denunciare il danno che titoli senza una prospettiva di genere causano alla società. Allo stesso modo qualificare come “amante dei cavalli” o “colto” per riferirsi all’assassino confesso di una donna, includendo la scusa della “gelosia” in un reato di genere o parlare di “rapporti consensuali” con una minore, che evidenziano questa minimizzazione della violenza che soffrono le donne.

ASSASSINIO O FEMMINICIDIO?

Gli esperti sottolineano che il fatto di usare ‘morte’ invece di ‘assassinio’ o direttamente femminicidio sta già riducendo la notizia a un evento, quando dovrebbe invece enfatizzare la piaga del terrore maschilista che si sta vivendo. Lo stesso accade con l’informazione che tende a umanizzare l’aggressore, a ripulire la sua immagine o a giustificare l’omicidio con la follia. Non molto tempo fa, dopo un delitto sessista in Italia, i giornalisti sono ricorsi al parere dei vicini, come se dovessero convalidare l’accaduto. ‘Salutava sempre sulle scale’ e ‘sembravano felici, non l’avrei mai sospettato’ erano argomenti ricorrenti.

Questa è una costante non soltanto in Italia, ma in molti paesi. E a proposito di Italia dobbiamo ricordare che è stato grazie a Franca Viola, una donna molto coraggiosa (originaria di questa terra, ma dall’altra parte della Sicilia, di Alcamo), che appena (e sottolineo appena) 41 anni fa, il 5 agosto 1981 sono stati aboliti sia il delitto d’onore che il matrimonio riparatore, due lasciti legali del Codice Rocco di epoca fascista. La loro abolizione è considerata un punto di svolta fondamentale per i diritti della persona in generale e delle donne in particolare.

Poi, come inciso, conviene ricordare che fino al 1996, quindi soltanto 27 anni fa, lo stupro ancora veniva considerato in Italia come un reato non contro la persona ma contro la moralità pubblica e il buon costume. Appunto, solo nel 1996 lo stupro diventerà un reato contro la persona.

Ma tornando al tema della mia relazione, contrasta la… possiamo dire… prudenza? che hanno i media quando parlano di reati sessisti che non hanno invece con altre notizie. L’uso di “presunto” ha la precedenza in qualsiasi titolo, indipendentemente dal fatto che l’assassino abbia confessato o che vi siano testimoni del reato. Lo stesso accade con situazioni come stupri, rapimenti, detenzione forzata o nei casi di tratta di esseri umani. Presumibilmente c’è stato un reato, ma finché il giudice non decide, non viene mai convalidato. Non è così nei casi in cui l’aggressore sostiene che la denuncia sia falsa, che il sesso era consensuale o che la donna magari prostituta poteva scegliere di non farlo.

Oltre a ciò, c’è ancora la copertura di reati. Per esempio un paio di anni fa in Spagna c’è stato un omicidio omofobo, ma nonostante la polizia abbia confermato che gli autori dell’assassinio erano maschi, molti media hanno spiegato questo crimine alludendo al fatto che sono stati “accecati” dalle loro fidanzate. Si tenta, quindi, di giustifucare” la figura degli autori materiali dell’omicidio assicurando che le fidanzate li avessero indotti a farlo. Quindi, il profilo della donna perfida contro quello dell’uomo alienato.

Promuovere un’immagine equilibrata e non stereotipata delle donne nei media è stato uno degli obiettivi concordati alla Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne, tenutasi a Pechino, in Cina, nel ormai lontano 1995. Per questo obiettivo era importante che i governi e le organizzazioni internazionali adottassero misure volte a promuovere la ricerca e l’applicazione di una strategia di informazione, educazione e comunicazione per stimolare la presentazione di un’immagine equilibrata delle donne tenendo.

Inoltre, per promuovere una formazione che tenga conto degli aspetti di genere per il settore professionale dei media, se includeva anche ai proprietari al fine di incoraggiare la creazione e l’uso di immagini non stereotipate, equilibrate e differenziate delle donne nei media. Un’altra misura che sia i governi che le organizzazioni internazionali avrebbero dovuto adottare era incoraggiare i media ad astenersi dal presentare le donne come esseri inferiori e dallo sfruttarle come oggetto sessuale e bene di consumo, e presentarle invece come esseri umani creativi, come il principale agente, contributore e beneficiario del processo di sviluppo.

Ma anche se molta acqua ha corso sotto i ponti dal 1995 ad oggi, passando in rassegna i media internazionali, sia scritti che televisivi e radiofonici,  anche se si avvertono alcuni cambiamenti, ancora la discriminazione sussiste. E uno dei modi più discriminatori e irrispettosi nei confronti delle donne avviene attraverso il sessismo.

In tema di sessismo, una delle forme più evidenti è la mancanza di un linguaggio inclusivo, unita all’uso dell’immagine della donna come oggetto di piacere sessuale. Basta guardare gli annunci in cui si vede una donna vestita in modo succinto che offre articoli come pneumatici, auto, liquori, batterie per auto, cellulari, ecc.

PARADIGNI DISCRIMINATORI

Per Vilma Vaquerano, coordinatrice dell’area di comunicazione dell’Organizzazione delle donne salvadoregne per la pace (ORMUSA), l’uso dell’immagine delle donne nella pubblicità sessista fa parte delle manifestazioni di violenza, poiché “riproduce paradigmi discriminatori contro le donne, che dovrebbero essere socialmente censurati così come i crimini e le aggressioni sessuali”.

Per quanto riguarda il trattamento dell’immagine della donna, non si può prescindere dal ricorso all’abbinamento donna-madre di famiglia, “perché è stato dimostrato che una delle cause della violenza domestica o che limita le possibilità di superamento delle donne è il lavoro riproduttivo”. 

Vaquerano  cita la pubblicità per un ammorbidente che presenta una donna resa schiava del lavoro riproduttivo, mentre il padre e il bambino si preparano per andare a giocare. Ciò premesso, la donna rimane in una situazione di tristezza, ma appare l’ammorbidente che la “libera” da quella responsabilità che le è ricaduta addosso da anni.

E’ quindi imperativo cambiare il modo di fare pubblicità, poiché attraverso annunci come questo, si presenta un messaggio sbagliato di quale sia la soluzione a questo problema.  La responsabilità dei membri maschi in casa vengono lasciate da parte, ignorando che ci deve essere una condivisione nelle faccende domestiche.

Non è vero che la donna è nata per fare la mamma e farsi carico di lavare, stirare, cucinare, pulire la casa, ecc. Né è vero che l’uomo non è adatto a fare queste cose, quello che succede è che il sistema patriarcale si è incaricato di dimostrare che tutto ciò è naturale.

Come sottolinea la professoressa spagnola Ana Jorge Alonso nel suo libro ““Mujeres en los medios, mujeres de los medios” “Donne nei media, donne dei media”) c’è stata, è vero, una lenta trasformazione delle immagini che la società proietta delle donne. Ma questa trasformazione è andata molto più lentamente se la confrontiamo con le trasformazioni socioeconomiche e tecnologiche subite dalla società occidentale a partire dal secolo XIX fino ad oggi.  E gli esempi ai quali ho accennato prima: delitto di onore e matrimonio riparatore sono una dimostrazione lampante di questa affermazione. Lo stesso possiamo dire dei media, che non si sono evoluti secondo la realtà e l’immagine che le donne hanno di se stesse, al di fuori delle immagini costruite dagli uomini.

Per il pubblicista, scrittore e docente Marco Ferri, in Italia c’stata una curva ascendente della presa di coscienza. Infatti, non era possibile considerare un essere umano che sulla Terra è in maggioranza, come una minoranza. Fino a un certo punto, ultimi anni 70, inizi degli 80 questa curva ha criticato, smantellato, modificato l’assetto giuridico per migliorare la condizione della donna. 

Poi è cominciata una curva discendente. In Italia è coincisa con l’esplosione della tivù commerciale dell’ex Primo Ministro Silvio Berlusconi.  C’è chi sostiene che la Storia proceda per cicli, e anche in questa questione è così. «Ci sono dei momenti in cui ciò che pensavamo che fosse arretrato e silente riemerge, e abbiamo questi drammatici episodi di sessismo, soprattutto nella comunicazione di massa, perché è quella che vediamo», sono parole di Ferri che non possono che essere condivise. 

Tenendo conto che i media sono lo specchio della società e che tutti questi fattori culturali che abbiamo in testa e nel linguaggio si traducono nella parola scritta, l’invito è per tutte e tutti, comunicatrici e comunicatori, di prestare un’attenzione quasi maniacale quando usiamo il linguaggio, poiché dobbiamo proprio ripetere senza stancarci che discriminazione, disparità e disuguaglianza sociale vanno di pari passo con l’uso, anzi con il cattivo uso del linguaggio.

Oltre all’uso improprio delle parole, c’è anche l’assenza di esse. È molto comune che la presenza delle donne nei media sia più bassa e soprattutto in alcuni settori, come nello sport, non ricevono il trattamento riservato agli uomini.

Si avverte molto nella narrazione di atlete la cui identità sovente viene eclissata riducendole ad “ammiratrici” di un altro atleta maschio o fidanzate (o ex) di qualche atleta o figura maschile nota.  Ricordo un aneddoto che raccontava la neurologa italiana Premio Nobel di Medicina Rita Levi Montalcini: più di una volta nei convegni le si chiedeva: “Chi è suo marito, pensando che era la moglie di un dei scienziati che partecipava al evento: Mio marito sono io”, rispondeva sempre.

L’uso sbagliato del linguaggio è un problema che non può più essere ignorato, poiché può portare a gravi danni in termini di ricezione del messaggio. E nell’era dei Social Network dove imperversa la misoginia digitale questo problema si è ampliati in modo esponenziale.

Certo, ci sono delle situazioni possiamo dire “virtuose” come le editrici di genere in giornali, come El Pais, o il giornale digitale diario.es la sezione EFeminista dell’agenzia sempre spagnola EFE, ma ancora sono esempi che appaiono come gocce in questo enorme mare di pregiudizi e stereotipi. In Italia nei media generalisti non esiste la figura di editore (editrice) di genere.

Porre fine al sessismo nei media significa non solo riconoscere tutti quegli stereotipi che sminuiscono la figura femminile, anche i più sottili, ma soprattutto costruire un nuovo immaginario collettivo: democratico, inclusivo, paritario, innovatore, progressista.

Per questo, per l’importanza che riveste per tutta la società l’attenzione al linguaggio con AMMPE WORLD abbiamo deciso di creare un osservatorio mondiale sul linguaggio sessista nei media che presenteremo nel nostro XXV Congresso Mondiale, che si svolgerà alla fine del 2024 nella Patagonia cilena.